DOVE FINISCONO I NOSTRI RIFIUTI ELETTRONICI

Continua dal n° 202 – Febbraio 2014

 

DURANTE LA GRANDE DEPRESSIONE le persone iniziarono a risparmiare e la domanda scese: una minaccia esistenziale per la stabilità economica e sociale degli Usa. Si iniziarono a cercare disperatamente delle soluzioni. Giles Slade descrive nel suo libro Made to Break come l'agente immobiliare di New York, Bernard London, formulò nel 1932 una proposta drastica: non importa se scarpe, automobili o case, tutto doveva essere reso un prodotto usa e getta, avere una data di scadenza per legge ed essere distrut­to allo scadere della durata prescritta. London propose 5 anni per le automobili e una demolizione dopo 25 anni per gli edifici. A tanto non si è arrivati. Ma facendo il paragone con altri sistemi economici, si nota che l'obsolescenza programmata è diventata una caratteristica del capitalismo. Gli articoli tecnici della ex Ddr (bulbi a incandescenza o televisori) sono per esempio conosciuti tra gli esperti per la loro longevità: lo spreco non aveva un senso nell'economia pianificata della Germania dell'Est. In cambio, negli Stati industrializzati oggi si accelerano i tempi. L’esperto informatico Sven Struzyna osserva da anni il rapido sviluppo nel settore dei computer. Un giorno la sua stampante a getto d'inchiostro smise di funzionare e iniziò a lampeggiare: il codice d'errore corrispondeva a "Manutenzione necessaria", la stessa risposta che Struzyna ricevette chiamando il produttore. Ma non essendo ancora vecchia la stampante, Struzyna si inso­spettì, iniziò a fare ricerche in Internet e trovò quello che cercava: «Mi imbattei in un ex collaboratore che si era occupato a lungo dell'assistenza delle stampanti». Che gli svelò il segreto: il pro­duttore, famoso a livello mondiale, aveva inserito un contatore di pagine che bloccava l'apparecchio dopo un determinato numero. Gli rivelò inoltre come azzerare il contatore. «Si deve solo preme re una determinata combinazione di tasti», racconta Struzyna. Dato che tali blocchi erano presenti anche su apparecchi di altri produttori, Struzyna pubblicò i codici sul suo sito. Spesso vengo­no inseriti "punti deboli" in computer e cellulari, perché difficili da scoprire vista la complessità del prodotto. Struzyna però è diventato un esperto: «Nei notebook i punti deboli sono gli alimentatori,il refrigeratore, la cerniera e lo schermo». Dopo 3 anni molti computer si rompono o compaiono errori di pixel, costrin­gendo a una sostituzione dello schermo, un danno economico totale per un notebook.

L’OBSOLESCENZA PROGRAMMATA è difficile da dimostrare e il complotto delle lampadine o dei chip nelle stampanti a get­to d'inchiostro sono solo due dei pochi esempi che si è riusciti a dimostrare. La maggior parte dei prodotti sono oggi molto complessi e composti da centinaia o migliaia di componenti. E se anche si dovesse riuscire a scoprire i "punti deboli", come si può provare l'intenzionalità del produttore? Egli si appellerà alla pressione del mercato e alla necessità di risparmi sulla qualità. Nei telefoni cellulari, il punto di rottura più frequente è l'accumu­latore. Quando Steve Jobs nel 2007 portò l'iPhone sul mercato, tutti lo acclamarono: finora non si era ancora visto un cellulare così facile da usare, così chic e così trendy. Quello che però quasi nessuno notò, fu che nell' iPhone non si erano solo eliminati i tasti ma anche il coperchio delle batterie. L'iPhone è sigillato come uno spazzolino da denti elettrico. Lo stesso vale per gli iPod e gli iPad: se il cliente vuole inserire una nuova batteria, la faccenda si fa dispendiosa, perché è possibile solo portando gli apparecchi alla Apple, che si fa pagare parecchio la sostituzione, spesso così tanto che la sostituzione della batteria non è più in rapporto con il valore dell'apparecchio. L’occasione fu presa al volo anche da altri produttori, e così oggi per il consumatore è impossibile sostituire la batteria da solo. I produttori giustificano sempre questo fatto con il desiderio del cliente di disporre di apparecchi sempre più piatti e leggeri. Una svolta sembra però farsi strada, anche se non alla Apple: Samsung ha integrato batterie sostituibili in alcuni dei suoi più recenti smartphone, senza pregiudicarne la forma sottile e leggera.

SPESSO PERO’ NON SERVONO I PUNTI DI ROTTURA per accelerare le vendite. I produttori si servono di una combinazione di meccanismi per raggiungere lo stesso scopo. Il primo tra tutti l'obsolescenza psicologica e cioè la moda: il produttore risveglia presso i consumatori la sensazione che il vecchio prodotto non sia più moderno. Gli americani sostituiscono i loro cellulari con modelli nuovi ogni 18 mesi, i giapponesi ogni anno. Tra i giova­ni gli smartphone sono diventati lo status symbol numero uno e sarebbe il massimo della vergogna estrarre dalle tasche un prodotto di vecchia generazione davanti ai compagni di scuola. Cento anni fa lo status symbol era l'automobile. Il leggenda­rio modello T di Henry Ford, chiamato anche "Tin Lizzie", era la prima automobile prodotta in serie agli inizi del XX secolo. Ne furono venduti 15 milioni tra il 1908 e il 1927. Il credo di Henry Ford era qualità, affidabilità e durata, caratteristiche che rendevano le sue automobili superiori a quelle del concorrente principale, la General Motors. A lungo la Ford si rifiutò di effet­tuare cambiamenti su questo modello, tanto che veniva distribuita in un unico colore: il nero. Un sostanziale punto debole: l'automobile non era così chic come quelle della GM, che ogni anno uscivano sul mercato in diversi modelli e colori. Il fatto che non presentassero progressi tecnici, era per il cliente di interesse secondario. La GM finì per essere in vantaggio. Nel 1955 il suo designer capi Harley Earl ammise: «Il nostro compito principale è quello di accelerare l'obsolescenza. Nel 1934 la durata media di possesso di un'automobile era di 5 anni, oggi è di 2. Quando diventerà, di un anno, significa che abbiamo raggiunto il valore perfetto». È vero che nell'odierna elettronica di intrattenimento, il progresso tecnico è molto più rapido che nel ramo automobilistico. Le prestazioni di computer e apparecchi mobili aumentano così velocemente che è difficile far capire al cliente perché non debba sostituire il suo smartphone che tentenna nel funzionamento con un modello successivo di eguale valore e che funziona senza problemi. L’obsolescenza funzionale è predominante nel settore tecnologico e i gruppi industriali se ne servono anche per accelerare i cicli di produzione. Sistemi operativi sempre più pretenziosi, a caccia di maggiori risorse e non più compatibili con gli apparecchi precedenti, obbligano i consumatori ad aggiornare in continuazione i loro hardware.

 

I PRODUTTORI FORZANO I NUOVI ACQUISTI anche in un altro modo, ostacolando la riparazione degli apparecchi. Anche in questo caso c'è un meccanismo autopotenziante: considerati i brevi cicli di vita dei prodotti, non vale la pena immagazzinare pezzi di ricambio, costringendo però i centri di riparazione a sostituire i componenti grandi già in presenza di piccoli guasti. I costi di riparazione dei televisori a schermo piatto, per esempio, sono compresi di media tra i 200 e i 300 euro, il corrispondente del prezzo per l'acquisto di un modello economico nuovo. I pro­duttori, inoltre, tengono le istruzioni di riparazione sotto chiave e citano in giudizio chi le mette a disposizione in rete. Kyle Wiens, fondatore del Sito iFixit per istruzioni di riparazione, critica nella rivista Technology Review. «Questa politica contribuisce in fin dei conti a una strategia dell'obsolescenza programmata, perché ren­de così difficile e costosa la riparazione di elettrodomestici difet­tosi che tanti consumatori li buttano via senza troppe esitazioni». E per finire, i produttori bloccano l'accesso dei consumatori ai loro propri apparecchi. I produttori di notebook sigillano i loro laptop con viti impossibili da svitare con cacciaviti normali. Oppure, non si prendono nemmeno in considerazione le viti nel design del prodotto, così come avviene per tablet e smartphone. I produttori spaventano i propri clienti minacciandoli di non avere più diritto alla garanzia se dovessero aprire l'apparecchio. In che modo si può fermare questo sviluppo che va nella dire­zione sbagliata? La durata deve essere premiata e la proposta di André Gorz è un iva ridotta su prodotti particolarmente duraturi. Oltre al prezzo, deve essere indicata anche la durata e, nelle istru­zioni per l'uso, devono essere descritte le riparazioni più comuni, i loro costi e la loro durata. Il nuovo motto deve essere: manteni­mento invece di demolizione. E il numero dei consumatori che non stanno più al gioco è in un aumento. In molti Paesi vengono fondati sempre più Repair Café, degli incontri durante i quali le persone si aiutano reciprocamente a riparare i loro apparec­chi rotti. Ha dato vita al movimento "Repair Café" la giornalista olandese Martine Postma nel 2009. Al primo incontro, tenuto ad Amsterdam, parteciparono così tante persone che ne seguirono altri dieci, tanto che finì per creare una fondazione per diffondere l'idea anche in altre nazioni. Il principio comune si basa sul Ma­nifesto della riparazione, nel quale gli scopi del movimento ven­gono formulati in 11 tesi; la prima fra tutte: «Prolunga la durata del tuo apparecchio. Non buttarlo via, riparalo» Nei Repair Café si danno da fare quasi sempre dei volontari, spesso dei pensionati con esperienze di anni nel settore elettro­tecnico e meccanico, il cui sapere rischia di andare lentamente perso. E naturalmente Internet unisce i riparatori. «La riparazio­ne significa indipendenza. Non essere schiavo della tecnica, ma padroneggiala» suona un'altra tesi del manifesto. Nessun altro ha realizzato questo fine con più coerenza di iFixit, dove migliaia di utilizzatori hanno redatto duemila istruzioni di riparazione per oltre 500 apparecchi: dal tostapane al cellulare fino all'automobile. Il giudizio degli esperti di riparazioni è richiesto e temuto. Smon­tano regolarmente i nuovi apparecchi e ne analizzano la capacità di riparazione e riciclaggio, documentando questi cosiddetti Te-ardown (smontaggi) in sequenze di immagini, passaggio dopo passaggio, per renderli comprensibili a tutti. Henry Ford, che nel 1922 scriveva «Non possiamo capire come possiamo essere al servizio del cliente, se non produciamo qualcosa che, per quanto ci sia possibile, duri per sempre», sarebbe contento di sapere che oggi ci sono ancora 150mila esemplari della sua Tin Lizzie, tra cui alcuni ancora funzionanti.

 

Tratto dal mensile “GEO”