Intervista a San Francesco
D = Dany
F = S Francesco
D - Pronto, San Francesco?
F - Si, sono io.
D - Che gioia sentire la tua voce!
F - La gioia è tutta mia, mi commuove l'idea che dopo più di 800 anni ci si ricordi ancora di me.
D - Scherzi? Sei rimasto “il giovane di Assisi” modello per tanti, sempre attuale. Se non erro sei nato nel 1.182, Assisi era già una piccola città medioevale, la nostra zona pedemontana, invece, era dominata dai Ghibellini rappresentati dalla famiglia Da Romano Ezzelino II° e poi il III° sempre in guerra contro i Guelfi, tanto per capire il periodo storico.
Ma parliamo di te, com'eri, com'è stata la tua vocazione?
F - Mio padre, Pietro di Bernardone, era un mercante di stoffe, mia madre si chiamava Pica, dolce e bella come la Provenza, la sua terra d'origine. Che dire? Con i soldi di mio padre e le coccole di mia madre, non sapevo fare niente,anzi sì, sapevo fare feste, divertirmi con gli amici, sognavo gli onori della cavalleria.
A 17 anni nel 1.199 partecipo alla guerra tra Assisi e Perugia e fui fatto prigioniero. Ho visto l'inferno, intorno a me i prigionieri morivano di stenti, di pazzia. Mi sono ammalato, credevo di non farcela e ho cominciato a pregare e quello è stata la mia àncora di salvezza. Dopo un anno di prigionia, mio padre paga un riscatto e torno a casa ammalato, ma salvo. Le cure di mia madre mi avevano guarito nel corpo, ma dentro non ero più lo stesso, vedevo le cose con occhi diversi, ero confuso, non cercavo più le feste, ma il silenzio dentro e fuori di me e comincio ad aprire la Bibbia.
D - Inizia il tuo cammino spirituale…
F - Direi di si, vedi, la fede è un dono di Dio, un dono che va accolto nel silenzio della preghiera, che scava dentro e un po' alla volta, se ti lasci guidare, cambi modo di vedere le cose, di porti agli altri. Mi ci è voluto del tempo sai, non è stato semplice. Dopo cinque anni nel 1.205, quindi avevo 23 anni, torno a combattere, ma a Spoleto non ce la faccio a proseguire e torno ad Assisi. Per mio padre è una vergogna troppo grande, ma io stavo vivendo un cambiamento irreversibile, dovevo scegliere.
Inizio a curare i lebbrosi fuori dalle mura della città, un anno dopo nel 1.206 a San Damiano davanti al crocifisso, Gesù mi dice “Va, Francesco, e ripara la mia casa che è in rovina” e comincio a riparare le chiesette che ne avevano bisogno. Per comprare il materiale vendo un carico di stoffe appena arrivato da Parigi. Mio padre non ci ha più visto, era veramente troppo, povero Bernardone, non capiva cosa stavo vivendo, e mi accusa di lapidare i suoi averi.
E allora, davanti al Vescovo restituisco tutto a mio padre, anche i vestiti che indossavo e rinuncio ad
ogni suo bene.
D - E' stato un gesto clamoroso, mi immagino la scena, a quei tempi poi, perdere tutti i privilegi, le proprie sicurezze, ed era solo l'inizio.
F - Dopo due anni, nel 1.208 restauro la chiesetta della Porziuncola e qui ascolto la lettura del Vangelo sulla missione evangelizzatrice degli Apostoli: “Andate, annunciate che il Regno di Dio è vicino, non portate né oro, né argento …..gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. E' una rivelazione chiarificatrice, adotto queste parole di vita e comprendo che la voce di Dio “Và e ripara la mia casa che è in rovina” si riferiva alle rovine della Chiesa.
In poco tempo mi raggiungono degli amici Bernardo da Quintavalle, Pietro Cattani, Egidio, Silvestro, Leone, Masseo. Un anno dopo, nel 1.209 andiamo a Roma e Papa Innocenzo III° approva la nostra forma di vita.
D - A quei tempi non c'era internet, mass-media eppure la voce che il figlio di Pietro di Bernardone si fa umile e povero per amore del Signore si espande velocemente. Tra i tuoi confratelli si annovera anche un nobile cavaliere molto venerato nella nostra zona, San Antonio da Padova.
F - Eh si, il portoghese Fernando Martins de Bulhones, Antonio, lo ricordo con affetto, gran predicatore, esigeva molto da se stesso. L'ho incontrato ad Assisi ad un Capitolo Generale.
D - Beh, in fatto di esigere molto da se stessi, non credo tu fossi da meno. Mi piacerebbe un giorno poter intervistare anche lui. Ma torniamo a te, di Chiara che mi dici?
F - Ricordo che una sera nella Porziuncola, precisamente il 28 marzo 1.211, al vigilia delle Palme, l'inizio della settimana santa, Chiara mi si avvicina e chiede di far parte della mia mia compagnia. La conoscevo appena perché figlia del nobile Favarone di Offeduccio, ma era così giovane, 11 anni ci separavano, e poi, eravamo tutti maschi, cosa avevamo da offrirle? Volevo rimandarla a casa, ma lei nell'apparenza così fragile, nascondeva un gran desiderio di fare del Vangelo la sua norma di vita. Con l'autorizzazione del Vescovo di Assisi ha inizio il secondo ordine francescano: le Povere Dame, poi Clarisse.
D - Tu e Chiara siete stati la dimostrazione dell'utopia difficile, ma possibile,di due anime legate insieme dalla forza di Dio e dallla luce del Vangelo di Cristo.
F - Certo, la sua presenza è stata fondamentale per me, per capire tante cose, il senso di complementarietà era palpabile.
D - Cioè?
F - Chiara era, anzi è l'immagine femminile feconda nella Chiesa: se io rappresento la parola, l'azione, Chiara è il silenzio, la contemplazione, io l'umiltà e la trasparenza, Chiara la luce.
D - A proposito di vita contemplativa, a volte viene da pensare che la vita religiosa attiva è più utile che chiudersi in un convento!
F - Sono due chiamate diverse, ma chi si pone questa domanda, in fondo in fondo si pone un'altra domanda: ma cosa serve pregare? Meglio agire! Sai, nella vita c' è chi produce, chi consuma, e chi prega e credi a me, chi prega ha una vita molto intensa, molto costruttiva.
La mia vita è un esempio vivo e con il sostegno della preghiera costante delle mie Povere Dame ho cambiato la Chiesa.
D - Che cosa è per te la preghiera, in parole povere, ma non farmi un trattato.
F - I grandi trattati li lascio a San Antonio, lui è più bravo di me. Gesù ci ha insegnato a pregare non come preghiamo noi, ma come ha pregato Lui. Non si va alla preghiera con domande già prefissate, non ci si presenta a Dio notificandogli quello che abbiamo già deciso e Lui deve semplicemente eseguire, questa non è la preghiera cristiana, questa è pressione. Pregare vuol dire restare responsabilmente davanti al progetto di Dio e alla sua volontà accogliendola fino in fondo. Pregare vuol dire accogliere, pregare vuol dire obbedire, pregare vuol dire entrare nel progetto di Dio. Una preghiera che si presenta davanti a Dio con il volto della povertà e che resta legata, che tratta Dio come è Dio. Dio è grande e va trattato con profondo rispetto. Pregare è far prevalere il desiderio di aderire alla sua volontà, non alla nostra: “Padre, non la mia ma la tua volontà” e questo a tutti i livelli umani, livello religioso, livello coniugale, livello di famiglia, di società. Oh, se la gente pregasse un po' di più, quante cose migliorerebbero!
D - Sante parole! Oh scusa, ma a volte ho un diavolo per capello, sai, tra crisi economica e gente che da i numeri!
F - Si, sorella letizia è ben lontana dai vostri cuori, ve lo si legge nei volti. Ma più che di crisi economica io parlerei di crisi dei valori. Vedi, i responsabili di questa crisi, i politici, amministratori, chi occupa posti di rilievo sono figli del proprio tempo, sono figli di una cultura che non si chiede se è meglio essere o avere. E allora dilaga la corruzione, la ricchezza prima di tutto, a costo di sottrarre risorse e lavoro a chi ne ha diritto e poi, scusa se te lo dico, vedo una società in delirio della propria onnipotenza, che si crede anche in diritto di inquinare in modo irreversibile la nostra madre terra, con i frutti, l'acqua, l'aria. Ma il mondo non l'avete ereditato, l'avete preso in prestito, che cosa lascerete ai vostri figli? Se non ricalibrate la vostra vita sociale, amministrativa, politica non ne verrete a capo, dovete fare un salto di qualità.
D - Si, ma...
F - Senza se e senza ma, non c'è tempo da perdere, non ascoltate i profeti di sventura che vi dicono ”tanto, è così che va”, rimboccatevi le maniche, ripartite da voi stessi vivendo la propria fede nella storia, con competenza e acutezza di analisi, con discernimento, con capacità di denuncia delle ingiustizie.
Ti confesso una cosa, anche ai mie tempi i “buoni cristiani” e parte del clero avevano la sindrome di Giona, l'ipocrisia di sentirsi puliti, perfetti, sufficienti perchè rispettavano i Comandamenti, ma io ho avvertito fin dall'inizio della mia conversione l'esigenza di andare incontro ai lebbrosi fuori le mura di Assisi, i derelitti, lo scarto della società, dite voi. E credimi, per capire la realtà mia, personale e della Chiesa l' uscire da una posizione di sicurezza e tranquillità del centro e dirigermi fuori dalle mura a contatto reale con i poveri mi ha aiutato non solo ad avvicinarmi a Dio, ma a conoscere davvero la realtà e il vissuto della gente.
D - Papa Francesco dice le stesse cose: ci dobbiamo “s-collocare” per vedere la realtà da più punti di vista differenti, altrimenti si corre il rischio di essere astratti ideologici o fondamentalisti. Insiste molto sulle periferie esistenziali. E vorrebbe una Chiesa povera per i poveri.
F - Ma certo l'amore ai poveri è una bandiera del Vangelo e il cuore del Vangelo sono i poveri.
D - Si fa presto a dirlo, ma è più facile ripararci dietro il nostro perbenismo. Parlavi di lebbrosi, tu li hai aiutati, abbracciati, io invece, ricordo quando ho fatto visita ad un lebbrosario, un villaggio in Malawi, sono rimasta senza parole, mi tenevo a debita distanza dietro la mia macchina fotografica, poi, ho visto Maria, una volontaria di Bergamo chinarsi a curare una piaga di un lebbroso senza guanti, e ho pensato: “ero ammalato e mi avete curato”, Maria metteva in pratica le parole di Gesù, io no.
F - Alla fine Dio non vi chiederà se siete stati credenti, ma se siete stati credibili. E non serve andare lontano per trovare i poveri, le miserie umane sono anche vicino a voi e tutti, ma proprio tutti, anche l'anziano inchiodato alla poltrona può dare il suo contributo con il sostegno della preghiera che viene dal cuore.
D - Dopo la sconfitta della crociata di Dametta del 29 agosto 1.219 ti metti in viaggio con frate Leone e incontri il sultano d'Egitto Melek EL Kamel, un avvenimento di enorme rilievo per quel tempo e quei luoghi, ma che ci facevi in mezzo all'ennesima crociata? Pensavi di convertire i musulmani o di ottenere la pace delle crociate?
F - Ti spiego, non so se grazie alla mia insistenza o alla Provvidenza, il sultano El Kamel incuriosito accetta di accogliermi nella sua tenda. Non avevo spada, né corazza, ma sai, il Signore si serve di persone povere e umili per cambiare la storia, il sultano rimase sbigottito vedendo un fraticello come me, inerme, lacero e sporco, probabilmente mi avrà considerato un pazzo o un'asceta, poi invece, rimase stupito e mi ascoltò con interesse. Non intendevo certo fare il diplomatico e proporre delle trattative, ma solo testimoniare la fede.
D - Papa Francesco parla di terza guerra mondiale, ma fatta a piccoli pezzi, “a capitoli” che si accendono qua e là nel mondo, si è detto disponibile di andare dove si sta bombardando, proprio come te. Molti sono scettici, ma anche con te lo erano, tu che ne pensi?
F - Papa Francesco sta lavorando molto e per questo chiede e insiste nel sostegno della preghiera di
tutti.
D - Un giorno ha detto che fermare l'aggressione ingiusta è lecito e ha sottolineato bene “fermare”, non bombardare. A volte credo che la diplomazia sia un business, la comunità internazionale si muove, ma a piccoli passi, sto pensando agli jihadisti intanto ricevono armi dai governi integralisti del Golfo con il placet di politici occidentali perchè hanno bisogno del loro petrolio. E ogni giorno che passa la guerra sta generando in sterminio di massa. Ma le giornate di pace nella tua Assisi, gli incontri in Vaticano con Abu Mazen, Perez e il Patriarca Bartolomeo, le nostre preghiere per la pace, che fine hanno fatto?
F - La preghiera per la pace non è mai un fallimento, apre sempre una porta, il fumo delle bombe ora non lascia vedere quella porta, dovete perseverare e coltivare quel valore, tante volte invocato, ma subito dopo dimenticato.
D - Io rimarrei ancora a parlare con te, ti ringrazio per le molte riflessioni che ci trasmetti ancora dopo tanti anni e … e grazie, un abbraccio.
F - Chiudo con un messaggio ai giovani: credete alla vostra parte sana, non abbandonatevi alle idee facili, quelle che vengono continuamente alimentate, a volte con poco senso delle responsabilità, io ero un ragazzo normale e ho scelto un percorso, un' avventura con Dio, mi sono fidato di chi non delude mai. Un abbraccio a tutti.
Dany